Come metodologia didattica innovativa, il Debate è oggetto di crescente interesse da parte non solo di istituzioni educative, enti di ricerca, docenti, ma anche di agenzie di formazione manageriale e orientate al potenziamento delle competenze maggiormente richieste dal mondo lavorativo. Autorevoli ricerche empiriche hanno dimostrato l’efficacia della pratica costante del Debate nel perfezionare le capacità di pensiero critico e creativo, di comunicazione, di collaborazione e, non da ultimo, di decision-making.
Ti è mai capitato di discutere con un amico che supportava una bufala ma non riuscire a convincerlo?
Oppure, ti succede a volte di essere in disaccordo con una persona al lavoro e di non riuscire
a trovare le parole o il modo giusto per replicare?
Quasi tutti, almeno una volta, ci siamo trovati in situazioni simili.
La discussione, il dibattito, sono parte della nostra vita quotidiana: dal lavoro come
in famiglia e in società.
È indispensabile pertanto educarsi ed educare al confronto civile – ma critico – con l’altro
e si può cominciare a farlo già in aula.
A ciò mira la metodologia didattica del debate.
Il Debate, infatti, è una metodologia didattica che stimola lo sviluppo della capacità di sostenere
un’idea, motivandola, di comunicarla efficacemente in pubblico, di documentarsi scrupolosamente
su fonti affidabili, di pensare criticamente.
Il dibattito ha fatto la sua comparsa anche nelle aule scolastiche italiane dove si è iniziata
recentemente l’analisi e la pratica del dibattito come metodologia, strumento
e ambiente di apprendimento innovativo: Classroom debate, Competitive debate
o semplicemente debate sono i termini che troverete nella recente letteratura in merito.
Nel contesto educativo però, il dibattito è propriamente un dibattito regolamentato,
ovvero, una discussione formale tra due parti contrapposte, una denominata Pro e una Contro,
che seguono precise regole di condotta.
Tali regole, o Protocollo, definiscono numero di partecipanti, modalità degli interventi,
durata e criteri di valutazione.
La pratica del dibattito, in aula o in attività extracurricolari, rappresenta un metodo didattico
efficace, per l’acquisizione di importanti competenze disciplinari e trasversali, flessibile
perché applicabile in diversi ordini di scuola, in diversi ambiti disciplinari e interdisciplinari,
adattabile a specifiche esigenze didattiche dei docenti.
Il dibattito non si riduce esclusivamente alla performance finale, durante la quale
i debaters discutono davanti a un pubblico e ai giudici, ma diventa formativa soprattutto
durante tutte le fasi preparatorie di ricerca, approfondimento, costruzione delle argomentazioni
e confutazioni.
L’azione didattica risulta più efficacemente focalizzata sullo studente al quale è richiesto
un ruolo attivo durante tutto questo processo.
Non è infatti pensabile fare dibattito con lezioni frontali o di solo ascolto: lo studente
è portato ad assumere un ruolo propositivo e responsabile nell’organizzare il proprio
apprendimento, collaborare nel gruppo di lavoro e interagire tra pari.
Data questa premessa, è abbastanza facile intuire che le principali competenze sviluppate
da questa metodologia siano competenze comunicative, argomentative, sociali, di cittadinanza
e di sviluppo del pensiero critico.
Praticare il dibattito permette infatti di acquisire conoscenze, abilità e atteggiamenti
che attraversano ambiti disciplinari e relazionali in una dimensione che coniuga flessibilità mentale,
“saper essere” e “saper stare” con gli altri.
Oltre ad acquisire conoscenze specifiche su un tema, lo studente deve anche gestire
e organizzare le informazioni raccolte, valutarle ed elaborare la propria tesi, sviluppare abilità logiche,
applicandole in contesti non noti per risolvere problemi: lo studente sta “imparando
a imparare”, essendo protagonista del proprio apprendimento.
L’ambiente nel quale lo studente opera, tra l’altro, è il gruppo, la squadra di debate,
nella quale affina capacità di interazione e comunicazione efficace, modalità di lavoro
collaborativo, gestione del conflitto e negoziazione, atteggiamento empatico e di leadership,
partecipazione inclusiva e responsabile.
La comunicazione infine rappresenta probabilmente l’elemento più ovvio in una disputa argomentativa:
dibattendo, si rafforza la padronanza nel parlare in pubblico e la gestione della comunicazione
verbale e non verbale, oltre all’ascolto attivo e alla gestione del tempo.
Infine, durante il dibattito, lo studente deve affinare la capacità di assumere decisioni strategiche,
dimostrando flessibilità mentale in un contesto dinamico e complesso.
Tutto questo processo porta, evidentemente, alla formazione di un cittadino consapevole del sé
e degli altri, in grado di partecipare attivamente alla vita politica e sociale.
E il docente?
La pratica del Dibattito porta anche il docente a sperimentare nuove forme di apprendimento
e insegnamento collaborativo, non solo con gli studenti, ma anche all’interno
della comunità professionale.
Possiamo dunque affermare che il debate può contribuire efficacemente al conseguimento
della maggior parte delle competenze chiave del XXI secolo per l’apprendimento permanente,
competenze richieste da un mondo sempre più complesso, veloce e interconnesso.
Fin dalle civiltà classiche, il dibattito ha fatto parte della vita pubblica, in forme e modalità diverse.
Il dibattito, come metodo educativo, si può far risalire ad Aristotele: nei “Topici” egli delinea le caratteristiche
delle riunioni dialettiche che permettevano, attraverso il ragionamento e la discussione con altri,
di acquisire il metodo e la capacità di riconoscere il vero e il falso.
Logos, Ethos e Pathos sono componenti della retorica che deve convincere e persuadere
coloro che ascoltano al fine di pervenire alla conoscenza.
In età romana, la pratica del dibattito politico continua e l’Ars dicendi viene insegnata
e praticata come una competenza importante nella vita pubblica e privata dei cittadini romani.
Nel Medioevo, in particolare in Italia e in Francia, il dibattito entra prepotentemente in Aula
nella forma di Disputatio, discussione formale utilizzata come tecnica di insegnamento presso le università.
Vi erano regole precise relative alle questioni poste e ai ruoli dei docenti e discenti coinvolti.
Tale attività era parte integrante del curriculum scolastico, serviva a promuovere abilità logiche,
di analisi ed esposizione orale e per affinare la capacità di replica, svolgendo
inoltre un importante ruolo nella ricerca universitaria.
Il filosofo inglese John Stuart Mill, nel suo saggio “Sulla libertà”, ritiene fondamentale
il dibattito nella costruzione di opinioni critiche sui principali problemi e gli assegna
un ruolo importante non solo in ambito politico e sociale, ma come approccio culturale, intellettuale,
di indagine poiché dovrebbe essere un’“attitudine della mente” di fronte ai problemi.
Ne riconosce, infine, un valore fondamentale come esercizio di cittadinanza, di ordine
sociale e di conoscenza.
Tra il XVIII e il XIX secolo, si sviluppano nel mondo anglosassone le prime forme di Debate Club
presso università e college per affinare le capacità deliberative e oratorie e promuovere
la partecipazione ai dibattiti pubblici di coloro che ne erano esclusi, per esempio le donne.
La concezione del dibattito è vista soprattutto come metodo di apprendimento e insegnamento
di particolari abilità, come metodologia trasversale.
Dal XX secolo, la pratica dibattimentale è entrata nei sistemi educativi della maggior
parte dei Paesi di tutto il mondo e, nel panorama italiano, grazie a scuole innovative e reti educative,
ha cominciato da circa un decennio a diffondersi con sperimentazioni didattiche
e tornei interscolastici, grazie anche a collaborazioni con Associazioni internazionali
e club di lunga tradizione.
Il dibattito come processo di indagine e di conoscenza, anche se praticato in forma
di gioco educativo, deve rispettare precise regole di condotta morale che tutti i soggetti coinvolti
devono rispettare e che sono efficacemente riassunte nel “Codice del Debater” di Alfred Snider.
Nel “Giuramento” del debater, lo studente si impegna a rispettare l’avversario e la sua libertà
di espressione, a imparare soprattutto dalla sconfitta, sviluppare empatia,
fare ricerca onestamente, valutare in modo obiettivo le proprie argomentazioni e difendere sempre
le posizioni dei più deboli.
Il Dibattito deve essere sviluppato dunque all’interno di un contesto dove la correttezza
e lealtà nei confronti degli altri partecipanti, unita all’onestà intellettuale verso la conoscenza,
rappresentano un “modus operandi” che garantisce un ambiente di apprendimento
eticamente corretto, condizione necessaria per addivenire al sapere.
IL GIURAMENTO DEL DEBATER (TRATTO DA DECONTI, GIANGRANDE – DEBATE PRATICA, TEORIA E PEDAGOGIA, PEARSON)
Io sono un debater
Mi impegno a essere degno di questo titolo osservando il giuramento del debater.
PER ME STESSO
Farò ricerca intorno al tema da dibattere e parlerò solo di ciò che conosco.
Tratterò con rispetto l’argomento dei miei dibattiti.
Sceglierò la persuasione al posto della coercizione o della violenza.
Imparerò dalla vittoria ma soprattutto dalla sconfitta.
Sarò un vincitore umile e un perdente composto.
Ricorderò e rispetterò le mie radici anche se ora sono un cittadino del mondo.
Rivolgerò a me stesso le critiche che indirizzo agli altri.
Mi sforzerò di riconoscermi nelle altre persone.
Mi impegnerò, in un dibattito, a usare i migliori argomenti possibili per sostenere la mia posizione.
Mi dedicherò, durante la mia vita, a usare i migliori argomenti possibili per decidere da quale parte stare.
PER GLI ALTRI
Rispetterò la loro libertà di parola e di espressione, anche quando saremo in disaccordo.
Rispetterò i compagni di squadra, la controparte, i giudici, gli allenatori, e tutti coloro che sono coinvolti nei tornei.
Valuterò con onestà intellettuale sia i miei argomenti sia quelli altrui.
Aiuterò coloro che hanno minor esperienza perché sono sia studente che insegnante.
Sarò, durante la mia vita, un difensore che prenderà posizione a favore di coloro che hanno bisogno e vogliono far sentire la loro voce contro il potere.
Alfred Snider
Due squadre, 6 debaters che intervengono alternando posizioni PRO e CONTRO, 2 arringhe finali
e la possibilità di porre domande durante gli interventi, sono, in sintesi, la struttura
del World School Debate (WSD), uno dei più noti Format di Dibattito.
Il WSD nasce in Australia nel 1988: è stato influenzato dal modello di dibattito parlamentare
inglese ed è oggi largamente utilizzato per le competizioni internazionali in tutto il mondo
La squadra PRO è chiamata anche “di Governo” e la squadra CONTRO è anche chiamata
“dell’Opposizione”.
La prima deve presentare un piano di azione (nelle mozioni di policy) mentre la seconda
può scegliere se proporre un’alternativa al piano stesso.
Le mozioni in discussione sono principalmente di tipo politico, economico e sociale
e la dialettica tra le parti è resa dinamica e interessante dalla presenza di Point of Information
(POI), domande poste dalla squadra avversaria durante gli interventi degli speakers.
Le mozioni possono essere “preparate”, cioè vengono annunciate qualche tempo prima
del torneo o “impromptu”, cioè dichiarate di norma un’ora prima della disputa, costringendo
le squadre ad affidarsi soprattutto alle loro capacità organizzative e logiche.
Il Protocollo prevede specifici compiti e rispetto dei tempi che sono elementi di valutazione
da parte dei giudici.
Il primo speaker della squadra PRO apre il dibattito e definisce la mozione, presenta
il Piano di azione (se previsto) che contiene la proposta di risoluzione del problema, quindi
illustra la linea argomentativa della squadra e come verrà ripartita tra gli speakers;
infine, presenta una o due argomentazioni in favore della mozione.
In risposta, il primo speaker della squadra CONTRO può integrare la definizione e presentare
un piano alternativo; oltre a presentare la linea argomentativa della sua squadra
e le proprie argomentazioni, deve confutare quanto affermato dal PRO.
Il secondo speaker della squadra PRO, dopo aver confutato, presenta una o due argomentazioni a favore.
Lo stesso ruolo è svolto dal secondo speaker CONTRO.
I terzi speaker hanno il compito principale di attaccare la linea argomentativa
della squadra avversaria e ricostruire quella della propria squadra, focalizzandosi
sulle argomentazioni principali proposte.
Solo il terzo speaker PRO potrebbe, se dichiarato all’inizio, presentare anche una nuova argomentazione.
Durante questi interventi, come detto, è possibile presentare domande all’avversario,
alzandosi in piedi e attendendo che l’oratore dia la parola.
I POI non possono essere posti nel primo e ultimo minuto dell’intervento dell’avversario:
l’accettazione, il rifiuto e il tipo di domanda e risposta sono oggetto di valutazione da parte dei giudici.
Al termine degli interventi, vi saranno le due arringhe finali, di durata inferiore rispetto
ai discorsi principali (di solito la metà del tempo).
Prima interverrà la squadra CONTRO e poi quella PRO.
In questi interventi, gli speaker dovranno riassumere il loro caso evidenziando soprattutto
i punti di scontro che l’avversario non ha saputo risolvere o argomentare adeguatamente,
sottolineando invece il valore della propria proposta.
In questa fase non è possibile introdurre nuove argomentazioni o presentare POI.
Perché proprio questo Format?
Questo modello non si deve ritenere esclusivo nella pratica del dibattito, ma è funzionale
ai nostri scopi, ovvero presentarvi una metodologia didattica flessibile e facilmente adattabile,
con le dovute cautele, alle attività d’aula e ai debater principianti.
I suoi punti di forza sono i seguenti: – il numero di speakers per squadra garantisce
forme di apprendimento cooperativo; – i tempi di intervento permettono di affinare
capacità argomentative e non solo di retorica e sintesi;
- i POI sviluppano l’agilità mentale e la flessibilità dei debaters, oltre alla capacità di ascolto attivo;
- è possibile adattare i tempi degli interventi rispetto all’età e alle competenze dei debaters,
oltre a permettere esercitazioni d’aula; – le tematiche affrontate e il tempo di preparazione
può considerarsi sufficiente per l’acquisizione di conoscenze in ambito curricolare; - la sua adozione in molti tornei internazionali in lingua inglese ne rafforza le potenzialità.
Queste sono le ragioni principali per le quali il Format WSD è stato adottato come riferimento
sia nel progetto Wedebate, che per le Olimpiadi nazionali di Debate in Italia.
LA MOZIONE E LE SUE CARATTERISTICHE
I dibattiti, a cui spesso assistiamo, si svolgono di solito intorno a un tema importante e complesso
che può presentare diversi punti di vista e posizioni contrapposte: certamente questo è il centro vitale
di una discussione, ma un dibattito regolamentato deve avere una precisa mozione che delimiti il contesto
entro il quale si scontrano le diverse argomentazioni PRO e CONTRO.
La mozione è una proposizione che enuncia, in maniera chiara e definita, la questione
di cui occorre discutere e valutare l’utilità e l’adeguatezza.
Pertanto la formulazione di una “buona mozione” è la condizione necessaria per lo svolgimento
di un dibattito efficace e funzionale alla realizzazione degli obiettivi formativi che ci proponiamo.
Dobbiamo quindi essere in grado di riconoscere una mozione “dibattibile” e lo possiamo fare
analizzando la sua formulazione rispetto ad alcune caratteristiche essenziali.
Innanzitutto, la mozione deve essere argomentabile e controversa, cioè deve permettere ai debaters
di presentare più argomentazioni relative al problema proposto.
Una mozione controversa garantisce inoltre lo sviluppo di un contraddittorio tra i PRO e i CONTRO che saranno
così in grado di presentare, entrambi, argomentazioni valide e logicamente confutabili.
Non vi può essere, infatti, alcuna possibilità di dibattito nel caso di affermazioni che siano verità
o falsità dimostrate.
La mozione deve risultare ovviamente equilibrata, cioè garantire una simmetria argomentativa
tra le due posizioni: in questo modo il dibattito si svolgerà proprio intorno alla capacità
di argomentazione e nessuna delle due parti sarà penalizzata da una posizione “meno sostenibile”.
In relazione alla sua formulazione, la mozione deve anche esprimere in maniera chiara il tema
in discussione per evitare il rischio di ambiguità nell’identificazione del contesto
e degli interessi coinvolti.
L’uso di termini generici, per esempio, “spesso” risulta fuorviante e il dibattito potrebbe condursi
più sulle definizioni del tema che sulla questione in sé, perdendo efficacia e prospettiva.
È necessario anche formulare mozioni circoscritte, cioè tali da delimitare ragioni e implicazioni
argomentative di un problema, anche molto più complesso.
Questa caratteristica non toglie, in ogni caso, valore al dibattito perché, soprattutto in ambito educativo,
è importante il processo di costruzione dell’argomentare che può partire, nei dibattiti
per principianti, da questioni circoscritte, ma comunque connesse a problematiche più ampie che possono
successivamente essere indagate da altre mozioni focalizzate su altri aspetti.
Dato che la metodologia del dibattito vuole essere un efficace strumento formativo,
si dovrebbe scegliere una mozione interessante e stimolante che coinvolga attivamente i debaters,
anche nelle fasi di ricerca, i giudici e il pubblico che assistono al dibattito.
Mi permetto di suggerire anche alcune indicazioni nel formulare una buona mozione:
- usare termini neutrali perché il dibattito non si gioca sull’impatto emotivo,
ma è un esercizio di argomentazione; – proporre mozioni che modifichino la situazione
esistente, soprattutto se implicano un piano d’azione; - analizzare mozioni presenti in numerosi database presenti in Rete: troverete, infatti,
molte proposte che potrete riformulare rispetto al livello dei vostri studenti e allo scopo
che vi siete prefissati.
Un’ultima annotazione: spesso vi imbatterete in mozioni precedute da THBT che significa
“This House Believes That”, cioè, “questa Camera sostiene che”, formula che ricorda l’origine parlamentare
del dibattito e che viene di solito utilizzata nei tornei internazionali.
In questa lezione abbiamo chiarito la differenza tra tema del dibattito e mozione: il tema
è il problema in generale in discussione, ma per un dibattito efficace è necessario
formulare una mozione argomentabile, controversa, chiara e circoscritta che garantisca un equilibrato
contraddittorio tra le parti.
Si possono individuare tre principali tipologie di mozione: - mozioni sui fatti (fact);
- mozioni sui valori (value);
- mozioni su piani d’azione (policy).
Queste categorie non sono nettamente separate, ma la loro classificazione è fondamentale
perché ogni classe di mozione implica approcci diversi al dibattito.
Le mozioni sui fatti riguardano ciò che si verifica, fatti che accadono nel presente, o sono accaduti
o potrebbero verificarsi in futuro; la discussione verte sulla verità o falsità dell’affermazione.
È quindi fondamentale argomentare con evidenze, prove scientifiche e fatti.
Per esempio - x è accaduto o accadrà;
- x causa y;
- x rappresenta y.
Per esempio, “l’intelligenza artificiale porta alla disoccupazione”;
o ancora “il carcere duro lede i diritti dell’uomo”
Di solito queste mozioni rappresentano discussioni svolte in ambito accademico.
La mozione di valore contiene un giudizio qualitativo circa un valore morale/estetico
di un evento/un’azione.
Essa contiene due elementi: l’oggetto di valutazione e l’espressione valutativa.
Per esempio, “Shakespeare è il più grande scrittore del mondo” - Harry Potter dovrebbe essere considerato un classico alla pari dei Promessi Sposi”.
Le mozioni di “policy”, molto frequenti nelle competizioni internazionali, propongono
la discussione in merito a qualcosa che dovrebbe/non dovrebbe essere fatto per risolvere un problema.
Gli elementi determinanti sono: – il soggetto che deve prendere la decisione; - l’azione da intraprendere (il piano di azione).
La squadra PRO deve individuare il problema e presentare una possibile soluzione.
Per esempio, il consumo di carne dovrebbe essere abolito.
Queste sono le tre principali tipologie di mozioni, con i loro elementi caratteristici.
Ciascuna tipologia comporta uno sviluppo specifico del dibattito e della ricerca preparatoria.
Spesso vi è comunque compresenza di elementi di più tipologie nella stessa mozione
METODO DI DEFINIZIONE DEI TERMINI CHIAVE
La definizione dei termini è l’interpretazione sia del significato delle parole e delle espressioni
che compongono la mozione, sia dei concetti controversi
che possono essere usati durante il dibattito.
Se il dibattito resterà sulle definizioni, come spesso accade per i valori, o si muoverà
verso altre questioni, dipenderà dalla contestazione o meno da parte del contro
dell’interpretazione della mozione del pro.
Quali sono i metodi fondamentali per definire i termini?
Un primo approccio potrebbe essere quello di ricercare esempi specifici simili.
Per stabilire una definizione accettabile da entrambi i lati e chiara per il pubblico
ci si può riferire all’uso comune del termine presentato dai dizionari generalisti.
Un’altra strada è riferirsi all’interpretazione fornita da esperti che può essere rinvenuta
in dizionari specialistici di vari campi.
Oppure si può optare per una definizione “operativa”
che spieghi la funzione del termine nel contesto del piano.
Mediante il dizionario dei sinonimi e contrari altre modalità definitorie efficaci possono
essere, da un lato, l’indicare ciò che il termine non significa e, dall’altro,
il mettere a confronto ed evidenziare somiglianze e differenze con altri concetti.
Infine, ci si può riferire alla radice etimologica, ma solo se connessa all’uso del termine
nel contesto della controversia.
Una definizione soddisfacente fornisce un orientamento ragionevole nell’interpretazione della mozione.
Non utilizzare “definizioni-trappola” per cogliere alla sprovvista l’avversario,
ma mira ad interpretare lo spirito della mozione!
Per contestare o difendere la tua interpretazione, dimostra che la tua definizione soddisfa meglio
delle concorrenti alcuni criteri, ad esempio: l’essere stabilita ufficialmente,
il derivare dall’ambito della controversia, l’essere basata sull’uso comune, l’essere
coerente con l’uso degli esperti e dei policy makers, l’essere in grado di fornire una
chiara distinzione tra ciò che è incluso e ciò che invece è escluso dalla definizione,
e ancora, l’essere in grado di fornire una leale divisione dello spazio tra pro e contro
per argomentare le proprie posizioni.
Nei dibattiti di policy sia il Pro sia il Contro convengono sull’ipotesi che la mozione
possa essere implementata e si concentrano sulla questione se dovrebbe esserlo o meno:
“dovrebbe” significa che la mozione è sia desiderabile che praticabile, ma NON
che verrà necessariamente adottata.
STOCK ISSUES – BRAINSTORMING DI IDEE
Ogni mozione pone e coinvolge un insieme di questioni fondamentali.
Le stock issues sono le domande standard applicabili a tipologie di mozioni.
Sebbene non siano sufficientemente specifiche per una mozione particolare, spesso aiutano
il debater a scoprire le questioni controverse e contese del dibattito sulle quali si determina la disputa.
In dibattiti sui valori si distinguono le “definitive issues” dalle “designative issues”.
Le prime: “quali sono le definizioni dei termini chiave?”;
“Quali sono i criteri per i valori?”.
Le seconde: “I fatti corrispondono alle definizioni?”;
“Quali sono le applicazioni dei valori?”
In dibattiti di policy, le stock issues sono tratte dai tre elementi fondamentali della
linea argomentativa pro: il danno, l’inerenza e la solvibilità, e sono, rispettivamente,
per il danno “esiste nello status quo un problema che richiede particolare attenzione?
Il problema è quantitativamente pervasivo?
E’ qualitativamente significativo?”;
per l’inerenza “le cause del problema sono inerenti alle norme, agli atteggiamenti, alle
strutture dello status quo?
Il problema potrebbe essere risolto senza un cambiamento significativo?”;
infine per la solvibilità “il piano d’azione è praticabile?
Il piano d’azione risolve il problema meglio di altri?
I suoi vantaggi sono più importanti degli svantaggi?
E’ moralmente giustificato?”
Le stock issues guidano l’esplorazione delle questioni rilevanti della controversia, e
le risposte individuate permettono di giungere a formulare questioni più specifiche sulla mozione,
che orientano la pianificazione del programma di ricerca e l’analisi successiva.
Sebbene solitamente i debater sviluppino le linee argomentative seguendo un processo logico,
a volte, per scoprire idee che altrimenti sarebbero state ignorate, sia nella fase di
definizione dei termini o di scoperta delle questioni, che in quella del reperimento di
materiali per la costruzione degli argomenti, utilizzano il brainstorming, ossia un metodo
di problem solving collaborativo in cui i membri di un piccolo gruppo, durante sessioni brevi,
in un’atmosfera informale, sono incoraggiati a lanciare intuizioni,
a sviluppare e a registrare idee creative.
INDIVIDUARE, REGISTRARE E ORGANIZZARE I MATERIALI
Chiediamoci innanzitutto: dove si svolge la ricerca?
Sebbene generalmente oggi la ricerca inizia e spesso termina su Internet, si raccomanda
ai debaters di “tornare in biblioteca”.
Raccogliere materiale di riferimento da enciclopedie e dizionari agevola l’acquisizione di una
conoscenza generale del problema, del lessico e delle questioni rilevanti, e orienta
lo sviluppo di indagini più specifiche.
Durante le prime fasi esplorative si ricercano nel catalogo della biblioteca libri rilevanti,
che forniscono ampie informazioni, e si seguono le note bibliografiche per approfondire.
Cercando negli indici con parole chiave i debater ingegnosi scrutano le informazioni
contenute nei periodici di attualità (quotidiani, settimanali, mensili) di diverso orientamento,
sia generalisti che settoriali.
Le riviste scientifiche offrono pubblicazioni revisionate da studiosi del campo, focalizzate
su temi specifici e altamente affidabili.
Estremamente utile è l’accesso ai documenti governativi, solitamente disponibili online,
e dei think-tanks di differenti inclinazioni politiche per i report non solo delle discussioni
parlamentari ma anche delle analisi tecniche delle policies.
La sfida della ricerca su Internet è identificare il materiale degno di attenzione e valutarne
criticamente la qualità, l’affidabilità, la credibilità.
Sicuramente occorre padroneggiare le tecniche di ricerca per parole chiave
con i diversi motori di ricerca.
Inoltre, è fondamentale saper distinguere le diverse tipologie di siti internet:
le pagine personali da siti commerciali, gli spazi animati da gruppi con interessi particolari
dai siti istituzionali, le pubblicazioni editate da autori accreditati sul tema dai social media.
L’unico anticorpo contro contenuti non affidabili è imparare a leggere il testo attraverso
il suo paratesto: chiedersi, ad esempio, se l’autore è chiaramente identificato o se
le sue credenziali lo rendono credibile rispetto ad un determinato tema; se potrebbe avere
un giudizio distorto; se il sito fa capo ad un editore affidabile oppure se mira a vendere altro;
se le informazioni sono supportate da fonti verificabili, e così via.
Si possono ottenere informazioni per il dibattito anche attraverso la comunicazione diretta,
le interviste telefoniche o la corrispondenza via mail con esperti della materia o associazioni
operanti nel campo, che possono indicare e condividere dati e report altamente pertinenti,
che, sebbene di pubblico dominio, sono difficilmente reperibili.
Ma per porre domande significative occorre avere una buona conoscenza delle questioni rilevanti.
Nella costruzione di una bibliografia il debater scruta le pubblicazioni mediante la ricerca
per parole chiave con lo scopo di trovare informazioni specifiche.
Tracciare mappe argomentative prima di iniziare la ricerca, trarne un elenco di parole chiave,
cercare informazioni pertinenti rende consapevoli delle differenti componenti dell’argomento.
Poiché i debater devono pianificare attentamente la gestione del tempo della ricerca, devono
selezionare nelle loro letture le fonti rappresentative dei diversi punti di vista,
autorevoli, accurate, significative.
Al fine di rendere le informazioni di cui hanno bisogno prontamente disponibili, i debaters
dovrebbero adottare un metodo sistematico di registrazione e organizzazione sintetica
dei materiali su “schede” che includano anche la citazione della fonte, la qualifica
dell’autore, la classificazione come pro o contro, la questione sviluppata e una formula
sintetica indicativa del contenuto.
I debaters che studiano le fonti pertinenti di informazioni, conducono con cura le loro
ricerche, leggono in modo mirato e critico, registrano e organizzano accuratamente i materiali
si muovono verso una difesa responsabile della propria posizione.
Solo i debater ben preparati possono sperare di ottenere l’attenzione di un pubblico critico,
di ben figurare contro avversari informati e di ottenere il favore di giudici ragionevoli.
FONTI, TIPOLOGIA E FORZA DELLE EVIDENZE
Le evidenze sono la materia prima dell’argomentazione: fatti e opinioni usati per generare prove.
I debaters raccolgono le evidenze e, mediante il processo del ragionamento,
producono nuove conclusioni.
Le evidenze possono provenire da fonti diverse.
Innanzitutto, tutti i documenti pubblicamente accessibili, compilati, emessi o approvati
da agenzie governative, che hanno l’autorità e le risorse per raccogliere e analizzare
grandi quantità di dati;
poi, tutti i materiali scritti a disposizione del pubblico in generale,
dall’Enciclopedia Treccani al giornaletto satirico scolastico;
e ancora tutti gli scritti e le testimonianze private.
Poiché non disponibili al pubblico non possono essere accettate come evidenze, ma sono spunti
che orientano la ricerca di altre evidenze.
Infine, alcune evidenze possono essere introdotte in un dibattito senza esplicitare la fonte
perché ampiamente note.
È fondamentale saper distinguere i dati dalla loro interpretazione
e saper valutare il prestigio delle pubblicazioni.
In generale, le evidenze accettabili nel dibattito devono essere pubbliche e sufficientemente credibili.
Diverse sono le tipologie di evidenze.
Le evidenze possono essere primarie o secondarie: quelle di prima mano hanno un margine minore
di errore perché il valore delle seconde non dipende soltanto dalla credibilità di
una fonte ma dall’accuratezza e dalla competenza di altri.
L’autore può essere un esperto qualificato nel campo, con formazione, conoscenza o esperienza
specifiche oppure no.
Poiché in un dibattito ogni lato potrà esibire opinioni di esperti tra loro contrastanti,
la preponderanza di un’opinione viene stabilita mostrando che l’esperto è maggiormente
qualificato o che lo studio è più credibile.
Da persone emarginate o prive di diritti possono provenire altre forme di evidenze,
come le testimonianze narrative e emozionali.
Le evidenze hanno diversi livelli di forza probante.
Alcune possono provare una questione solo parzialmente; altre possono essere sufficientemente
forti da giustificare la conclusione in maniera definitiva nel giudizio del giudice.
La prova è parziale se stabilisce un fatto isolato in una serie di fatti
che supportano la questione disputata.
Più evidenze parziali, considerate insieme, possono diventare definitive.
Una prova è “corroborativa” se supporta uno stesso fatto, oppure “indispensabile”
se senza di essa il fatto non potrebbe essere provato.
Una prova “definitiva” è un’evidenza sufficientemente convincente per stabilire
l’asserzione oggetto di contenzioso oltre ogni ragionevole dubbio,
ma raramente si verifica in un dibattito.
Prima che le usino nel dibattito, durante la costruzione della linea argomentativa,
i debater dovrebbero testare le evidenze, rigettando quelle deboli e inconcludenti e
anticipando le probabili obiezioni della controparte.
La responsabilità di testare le evidenze durante il dibattito spetta alla controparte.
Qualora ciò non avvenisse, i giudici possono accettare anche prove deboli.
Di fatto, l’assenza della confutazione può aumentare l’effetto delle prove della controparte.
Le domande per testare la credibilità delle evidenze forniscono ai debater
un sistema affidabile per valutarle.
Facciamo un esempio: l’evidenza è effettivamente connessa alla materia in questione?
È presente un’evidenza che sia più convincente e preponderante rispetto alle opposte evidenze?
Le risposte affermative a queste domande implicano che l’evidenza è credibile;
risposte negative, invece, denotano debolezza.
Un’ulteriore domanda potrebbe essere: l’evidenza è coerente con altre evidenze note?
Se coerente, l’evidenza andrà a corroborare l’argomento stesso e sarà accettata intuitivamente.
Altrimenti, se l’evidenza fosse controintuitiva, occorre dimostrare ai giudici perché è più
credibile delle altre oppure perché l’autore è più qualificato o perché in questo particolare
caso dovrebbe essere accettata.
È bene considerare anche domande specifiche sulla fonte dell’evidenza; ad esempio:
la fonte è identificabile? L’autore è competente?
L’autore ha conflitti di interesse che potrebbero influenzare la sua opinione sulla questione?
La valutazione delle statistiche, poi, richiede questioni specifiche, inerenti la determinazione
del campione e l’accuratezza della raccolta, della classificazione e dell’interpretazione dei dati.
Inoltre, il debater esperto dovrebbe testare l’accettabilità delle evidenze da parte
del pubblico e della giuria chiedendosi se esse siano adeguate al loro livello e coerenti
con i loro standard di valutazione.
GLI ELEMENTI DELL’ARGOMENTO: IL MODELLO DI TOULMIN
Toulmin ritiene che in ogni argomento totalmente esplicitato si possano rinvenire sei elementi
fondamentali: primo, l’affermazione (o claim); secondo, il qualificatore modale; terzo, le ragioni (grounds);
quarto, le garanzie (warrants); quinto, il rinforzo (backing); sesto, le possibili confutazioni (rebuttals).
Ma andiamo con ordine… L’affermazione è la conclusione che cerchiamo
di stabilire con il nostro argomento. Può coincidere con la mozione (ad es. “Il governo
dovrebbe ridurre l’influenza dei sindacati”) oppure con una tesi nel dibattito (ad es.
“Il work-sharing ridurrà la disoccupazione negli Stati Uniti”).
Il qualificatore modale è il grado di cogenza che attribuiamo alla nostra affermazione attraverso
avverbi o espressioni come “certamente”, “probabilmente”, “spesso”, “è possibile”,
“raramente”, e così via. Le ragioni sono i motivi, solitamente “fatti”,
avanzati per fondare la nostra affermazione. Le garanzie, le warrants, sono i motivi, solitamente
le “norme”, avanzati per giustificare il passaggio dalle ragioni alla conclusione.
I rinforzi, il backing, sono le ulteriori motivazioni avanzate a supporto di ragioni e garanzie.
Consideriamo un esempio di argomento semplice:
«Noi sosteniamo che “Probabilmente (qualificatore modale) il work-sharing ridurrà la disoccupazione
negli Stati Uniti” (claim), e ciò perché è un fatto (ground, ragione) che “il work-sharing
ha ridotto la disoccupazione in Germania” e di norma (warrant) “ciò che accade in
Germania si verifica probabilmente anche negli Stati Uniti” in quanto (backing)
“l’economia tedesca è simile a quella statunitense”». Applicare il metodo dialettico significa sfidare,
cercare di confutare ogni premessa al fine di appurare la sua verità.
Le confutazioni non semplicemente bloccano il movimento dell’argomento dalle ragioni
all’affermazione ma soprattutto ci costringono a riconsiderare e a ridefinire più accuratamente
il nostro argomento e la sua cogenza. Ad esempio, all’argomento precedente si
potrebbe obiettare che si fonda su una “falsa analogia” perché “il work-sharing in
Germania è volontario mentre il piano della squadra PRO prevede l’obbligatorietà”
Abbiamo considerato un esempio breve, semplice, lineare. Solitamente nei dibattiti reali
gli argomenti sono più estesi, complessi e complicati. Spesso sono catene di ragionamenti in cui
alcuni elementi sono omessi. Una valutazione attenta degli elementi di un argomento permetterà
ai debater di individuare le premesse nascoste, le possibili crepe nella costruzione e quindi
di poter riparare il proprio argomento o di lanciare attacchi alla controparte.
Didatticamente, con debater giovani o principianti, è più funzionale utilizzare, non il modello
Toulmin, bensì il modello AREL perché più maneggevole.
Il modello AREL si compone di quattro elementi fondamentali: l’affermazione; il ragionamento;
le evidenze; il link-back. Come nel modello di Toulmin, anche nel modello
AREL, l’affermazione è la conclusione che si cerca di dimostrare.
Il ragionamento corrisponde ai motivi che giustificano e spiegano l’affermazione.
Le evidenze corrispondono all’insieme disponibile di fatti e informazioni che mostrano la verità
del ragionamento. Il Link-Back è il collegamento di un singolo
argomento alla strategia complessiva della squadra.
Ecco un breve esempio:
«La mia squadra sostiene che [affermazione] vietare il sensazionalismo nei media ridurrebbe
il terrorismo e ciò perché [ragione] i servizi sensazionalistici forniscono ai terroristi
visibilità e ciò è proprio il loro scopo. Infatti, [evidenza] secondo uno studio condotto
da Michael Jetter, professore della School of Economics presso l’Università di Medellín,
in Colombia, che ha analizzato oltre 60.000 attacchi terroristici tra il 1970 e il 2012,
“il sensazionalismo dei media dà ai terroristi l’ossigeno della pubblicità gratuita”.
[link-back] Nel 2017 le morti per terrorismo sono state 44 490. Immaginate quante vite
umane sarebbe possibile salvare se solo i media dessero il giusto rilievo alle notizie di attualità».
In conclusione, il debater deve saper valutare i propri ragionamenti per determinare il grado
di cogenza delle conclusioni e per anticipare le probabili linee di confutazione della controparte
e preparare risposte adeguate. Un buon test generale, che aiuta il debater,
è quello di porsi domande come: i motivi, le evidenze fornite forniscono un
solido fondamento per l’affermazione? Le ragioni fornite sono sufficienti a giustificare
il passaggio dalle premesse alla conclusione? Le premesse sono adeguatamente rinforzate
con evidenze e ragioni aggiuntive? Le possibili confutazioni sono state valutate attentamente?
Il grado di cogenza è stato adeguatamente determinato?
TIPOLOGIE DI RAGIONAMENTO
Il ragionamento per esempi consiste nell’inferire conclusioni da casi specifici.
Si consideri il seguente argomento: probabilmente (grado di cogenza) “Ci sono molte alternative
all’energia nucleare” (claim) perché “sia l’energia solare, sia l’energia geotermica, sia l’energia all’idrogeno
sono efficaci” (grounds per esempi) e “queste fonti energetiche sono oggi funzionanti” (warrant).
Nel valutare la solidità del ragionamento per esempi occorre chiedersi se gli esempi sono rilevanti,
se sono ragionevolmente numerosi, se sono tipici, se esistono controesempi.
Ad esempio, una confutazione possibile potrebbe essere: “Non siamo d’accordo sul fatto che sia
l’energia solare, sia l’energia geotermica, sia l’energia all’idrogeno sono fonti energetiche efficaci.
Infatti, l’energia solare non è facile da commercializzare.
L’energia geotermica è limitata a poche zone.
L’energia ad idrogeno richiede grandi quantità di elettricità”.
Il ragionamento per analogia consiste nel fare un confronto tra due casi simili e nell’inferire
che ciò che è vero in un caso lo è anche nell’altro.
Si consideri il seguente argomento: “Il sistema sanitario inglese è migliore di quello americano
perché in Inghilterra, diversamente dall’America, i casi di negligenza sono minori.”
Nel valutare la solidità del ragionamento per analogia occorre chiedersi se i punti
di somiglianza e i punti di differenza sono significativi.
Ad esempio, una possibile confutazione potrebbe essere: “I maggiori casi di negligenza del sistema
sanitario americano non provano che il sistema sanitario inglese sia più efficiente.
Infatti, ciò deriva dal fatto che in America, diversamente dall’Inghilterra, il pagamento è vincolato
al raggiungimento dell’obiettivo”.
Il ragionamento causale inferisce che un determinato fattore (una causa) è una forza che produce
qualcos’altro (un effetto).
O viceversa: se esiste un determinato effetto, allora può essere ragionevole supporre che esso sia prodotto
da una determinata causa.
Ad esempio, si consideri il seguente argomento: “L’indice del costo della vita, molto probabilmente,
salirà perché il costo della carne è aumentato bruscamente.
Solitamente, infatti, i costi del cibo, e in particolare della carne – il cibo più costoso – si riflettono
rapidamente nell’indice del costo della vita”.
Nel valutare la solidità del ragionamento causale occorre chiedersi se la presunta causa
è pertinente ed è in grado di produrre l’effetto descritto, se il fattore causale è distintivo o unico,
se ci sono cause contrastanti, se il fattore causale è necessario e sufficiente.
Ad esempio, una possibile obiezione potrebbe essere: “Siamo in disaccordo, e per due ragioni:
il consumo di carne è in declino e soprattutto la riduzione di altri articoli di consumo
compenserà l’effetto dell’aumento dei costi alimentari”.
Il ragionamento per indizi consiste nell’inferire una relazione o una correlazione tra due variabili:
la presenza o l’assenza di una di queste può essere considerata come un’indicazione
della presenza o dell’assenza dell’altra.
Consideriamo questo argomento: “L’economia probabilmente crescerà nel prossimo semestre,
perché gli ordini di beni durevoli sono aumentati del 10%, la produttività è aumentata del 3,4%,
i nuovi ordini di beni di consumo sono aumentati del 5,1%.
Mario Rossi, professore di economia alla London School of Economics e autore di importanti
articoli in prestigiose riviste scientifiche, ha affermato che questi sono indicatori di crescita dell’economia.”
Nel valutare un ragionamento per indizi occorre stabilire se vi sia una relazione rilevante
tra le due variabili, se tale relazione è necessaria, se vi sono altri fattori che disturbano
la relazione, e così via.
Ad esempio, una possibile confutazione potrebbe essere: “Il prof. John Smith, ordinario di economia
alla Harvard Business School e autore di diffusi manuali di macroeconomia, afferma che questi indicatori
non hanno particolare rilevanza in questa fase del mercato.
Inoltre, altri importanti indicatori, come i licenziamenti o le ore lavorate, non manifestano purtroppo
alcun cambiamento”.
In definitiva, se la giuria vede che le evidenze usate dal debater sono fondate e che il ragionamento
è solido, probabilmente accetterà anche i suoi argomenti.
LINEA ARGOMENTATIVA
Dopo aver analizzato la questione, la tua squadra dovrà sviluppare la linea argomentativa,
ossia la strategia operativa per coordinare ragionamenti ed evidenze, e presentare efficacemente
la propria posizione.
Quali sono i requisiti che la linea argomentativa dovrebbe soddisfare?
La linea argomentativa si deve adattare alle caratteristiche del giudice e del contesto
in cui ha luogo il dibattito, deve anticipare le probabili mosse dell’avversario,
deve soddisfare i requisiti di chiarezza e rilevanza, di coerenza e flessibilità.
Cosa accadrebbe se la tua squadra impostasse una linea argomentativa troppo rigida?
Non potrebbe “rispondere” a quella dell’avversario.
Come stabilire la linea argomentativa?
Poiché i tuoi debater comprenderanno realmente il problema solo se analizzeranno entrambi
i lati della mozione, mappando argomenti, confutazioni, obiezioni, la tua squadra dovrà:
decidere in anticipo quale posizione assumere nel caso in cui l’avversario presentasse
una determinata strategia argomentativa e pianificare risposte alle probabili controargomentazioni.
Cosa caratterizza la linea argomentativa della squadra PRO?
La squadra PRO ha l’onere della prova.
In dibattiti su valori la linea argomentativa PRO deve dapprima fornire una ragionevole
interpretazione del significato della mozione e dei criteri per comparare i valori, e, successivamente,
illustrare le implicazioni concrete e significative derivanti dall’applicazione del valore accettato,
ponderando gli impatti e le caratteristiche inerenti al caso.
In Debate di policy la linea argomentativa PRO deve innanzitutto mostrare il bisogno
del cambiamento, identificando nello status quo le cause permanenti – le norme, le strutture sociali,
gli atteggiamenti collettivi – di danni pervasivi, numericamente significativi,
e che colpiscono valori fondamentali.
In secondo luogo, deve fornire un piano d’azione realisticamente praticabile, sufficientemente
dettagliato e agevole da esporre.
Il piano dovrebbe risolvere il problema in un modo comparativamente più efficiente rispetto
allo status quo.
I punti fondamentali da esplicitare sono: l’agenzia che amministra il piano,
le direttive per raggiungere l’obiettivo desiderato, gli incentivi e le misure coercitive
per la loro applicazione, le risorse finanziarie e umane, il riferimento ad analoghe proposte presentate
da esperti o implementate in altre giurisdizioni, ponderando gli impatti, valutando rischi
e opportunità, dimostrando che i vantaggi derivanti dal piano sono più importanti degli svantaggi
(e che gli svantaggi presunti dall’avversario sono in realtà vantaggi).
Cosa contraddistingue la linea argomentativa della squadra CONTRO?
Il CONTRO ha l’onere di confutare almeno uno degli argomenti principali del PRO.
Se ciò non avvenisse, il PRO prevarrà nel dibattito.
Ad ogni modo, se lo status quo non risolvesse il problema, si consiglia al CONTRO di costruire
una linea argomentativa che sostenga un contropiano, una policy alternativa, integrata e coerente
con la sua posizione, concorrente e opposta a quella del PRO.
La linea argomentativa è “topica” se conforme allo spirito della mozione.
Qualora l’interpretazione del PRO non fosse ragionevole o non fosse adatta all’azione richiesta
dalla mozione, il CONTRO deve attaccare le definizioni o mostrare le incongruenze del piano.
In Debate di valore, il CONTRO solitamente prevale quando attacca la significanza
dei criteri avanzati dal PRO, dimostrando che altri più importanti non sono soddisfatti,
che le conseguenze dell’applicazione dei valori del PRO sono sgradite, non risolvono il problema
o non dipendono necessariamente dall’adozione della mozione.
In Debate di policy, il CONTRO innanzitutto cerca di dimostrare che il PRO
non ha provato l’esistenza del danno, o che il danno non è quantitativamente
o qualitativamente significativo, o di minimizzarlo, o di argomentare che nei fatti è un beneficio;
in secondo luogo, argomenta che lo status quo non impedisce il raggiungimento del vantaggio,
che i danni possono essere riparati dai meccanismi inerenti allo status quo, o che gli stessi vantaggi
possono essere ottenuti senza adottare la mozione ma semplicemente apportando alcune
modifiche allo status quo; in terzo luogo, prova che il piano non funziona,
o che, qualora funzionasse, non risolverebbe il problema, o che i vantaggi che otterrebbe
non sono significativi; in quarto luogo, mostra che gli svantaggi
del piano proposto pesano di più dei vantaggi; infine, sfida i fondamenti filosofici
e le implicazioni etiche della proposta avversaria.
LE CONFUTAZIONI E I POIS
In un dibattito, la confutazione svolge un ruolo essenziale, poiché rappresenta la dimostrazione
logica e persuasiva dell’infondatezza e dell’erroneità dell’argomentazione della
squadra avversaria.
Ricorda che una buona confutazione è efficace se colpisce, in ordine di importanza, i ragionamenti,
il valore guida, l’efficacia della proposta, le definizioni e infine gli esempi.
Quindi analizzeremo prima COSA confutare e poi COME confutare.
Primo: confutare i ragionamenti vuol dire sottolineare che gli argomenti presentati
dalla controparte, per quanto ben congegnati e sostenuti con chiarezza e convinzione, risultino
ininfluenti per il dibattito; oppure mostrano delle fallacie nella loro organizzazione logica.
Secondo: confutare il valore guida, vuol dire mettere in discussione i principi o i valori
fondanti che caratterizzano l’intera linea argomentativa e che le danno coerenza e solidità.
Questo significa dimostrare che i principi o i valori adottati dalla controparte siano
meno pregnanti o addirittura dannosi rispetto ai propri.
Facciamo un esempio sulla seguente mozione: “Le navi delle Organizzazioni non governative
devono soccorrere i migranti”. I valori sostenuti dalle due squadre potrebbero essere
la salvaguardia della vita umana per il PRO, l’interruzione dello sfruttamento umano per il CONTRO.
La squadra che è in grado di dimostrare che il proprio valore è più
pregnante o prioritario rispetto all’altro o addirittura è garanzia del valore assunto
dall’altra squadra, otterrà il sopravvento.
Terzo: confutare l’efficacia della proposta. In genere il primo intervento dello speaker
comincia con una presentazione di problemi concreti che la mozione suggerisce. Quindi
una strategia per confutare la controparte è quella di mostrare che quanto sostenuto
da essa non conduce affatto a risolvere il problema perché inefficace
o perché le cause individuate sarebbero diverse.
Quarto: contestare le definizioni. Elaborare le definizioni dei termini della mozione è
un punto fondamentale per la solidità delle proprie argomentazioni e per tutto il dibattito in generale.
Tuttavia, quando le definizioni non sono pienamente ragionevoli, o mancano
di includere elementi decisivi per il dibattito, allora conviene contestarle e presentarne
di più utili ed efficaci.
Quinto: contestare gli esempi. Questo vuol dire smentire riportando esempi contrari o
mostrare le generalizzazioni indebite dovute ai limitati esempi offerti dall’altra squadra.
È opportuno notare però che la strategia di confutare gli esempi ha un minor impatto
rispetto alle precedenti confutazioni, poiché mostra la debolezza dell’esempio riportato,
ma non indebolisce necessariamente l’intera linea argomentativa.
Terminata la rassegna del COSA confutare, passiamo adesso ad esaminare COME effettuare le confutazioni.
Il primo momento è rappresentato sicuramente dalle domande che possiamo fare durante il
discorso della controparte. Queste domande, dette Point of Information, devono essere
brevi, dirette, di circa 15 secondi, e hanno la funzione di mettere in difficoltà l’avversario.
Con queste domande dimostrate di aver colto nell’avversario punti deboli, eventuali
contraddizioni, la mancanza di fonti attendibili e così via…
Altre tecniche, più efficaci per la confutazione, sono:
negazione, minimizzazione, superamento, ribaltamento di una tesi.
Vediamo come applicarle.
Negare una tesi significa riconoscerne la falsità, smentirla con esempi contrari che
ne dimostrino l’infondatezza. Proviamo con un esempio:
l’affermazione “l’uso dei social porta a comportamenti alienanti e si può perdere
quasi del tutto il contatto con la realtà” potrebbe essere negata dicendo “questo non
è vero: grazie ai social si possono curare rapporti interpersonali tra persone anche
distanti e non solo restando in contatto con chi già si conosce, ma anche facendo nuove amicizie”.
Passiamo alla seconda tecnica: minimizzare una tesi. Questa è utile quando siamo di
fronte a fatti che non possono essere negati, ma si potrebbe intervenire minimizzandone l’importanza.
Riproponiamo lo stesso esempio: questa tesi
potrebbe essere minimizzata dicendo “può essere anche vero, ma non è un problema come
vorresti farlo sembrare tu, perché comunque si rimane in un flusso di comunicazione globale
che si muove in tempo reale e ti consente di essere aggiornato sia nelle questioni internazionali che private.”
Terza tecnica: il superamento di una tesi. Anche questa è una tecnica che viene usata
quando i fatti presentati non possono essere smentiti. Allora si propone un confronto tra
gli scenari presentati, affermando che il proprio è migliore, perché il valore che
sottende è preferibile. Tornando al nostro esempio, per superare
questa affermazione potremmo dire “ma numerose statistiche confermano che grazie ai social
sempre più persone, al giorno d’oggi, trovano una nuova professione e proprio grazie alla
visibilità che i social garantiscono”.
Infine la tecnica più complessa: il ribaltamento. In questo modo si ribalta la tesi avversaria
e quelli che sembravano essere lati negativi rispetto al problema, sembrano diventare positivi.
O viceversa.
Ricordiamo sempre la stessa affermazione di partenza: per ribaltare questa affermazione
potremmo dire “può essere anche vero, ma condividere pubblicamente le nostre passioni
e i nostri pensieri, permette il confronto con chi ha qualcosa in comune con noi, appaga
il desiderio di ascolto e di condivisione e questo è sicuramente positivo”.
Bene, a questo punto hai tutti gli strumenti per allenarti sul
COSA confutare, ovvero i ragionamenti, il valore, la proposta, le definizioni e gli esempi…
ma anche COME confutare: negando, minimizzando,
superando e ribaltando una tesi.
COMPOSIZIONE DEL DISCORSO
I discorsi, anche in forma orale, devono essere preparati con molta cura affinché lo speaker
sia sicuro di sé, chiaro nell’esposizione, e soprattutto efficace nel raggiungimento dello scopo.
È utile quindi strutturare un discorso in maniera molto chiara.
La struttura generale del discorso deve essere semplice.
Un discorso complesso, ricco di subordinate costellate di virgole e punti e virgola, probabilmente
può esprimere un’idea con grande precisione.
Purtroppo però i nostri ascoltatori non possono vedere la punteggiatura dei nostri appunti,
né hanno la possibilità di rileggere un periodo complesso.
E allora sarà compito nostro agevolare la loro comprensione.
Quindi ricorda: struttura semplice.
Ma come organizzare la struttura?
Immaginiamo di costruire il nostro discorso come fosse un tempio o un edificio.
Come per tutti gli edifici bisogna partire dalle sue fondamenta.
Ovvero dalla sua conclusione.
Stabilite con una frase chiara e precisa l’obiettivo del vostro discorso, la sua conclusione.
È un’operazione indispensabile, perché darà coerenza e unità a tutta la struttura
e aiuterà ad essere efficaci nei risultati.
Dopo aver formulato questo obiettivo in una frase o un periodo conclusivo, possiamo comporre
una o due argomentazioni finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo: queste argomentazioni andranno
a costituire le mura del nostro fabbricato.
Focalizziamo l’attenzione sulle caratteristiche che un ragionamento deve avere: ordine delle idee,
enfasi e posizione di alcune parole chiave, ripetizione dei concetti più importanti.
Primo: non basta decidere cosa dire, ma stabilite l’ordine con cui esporre le idee.
Ci sono vari tipi di ordine che potete seguire.
L’ordine logico è quello più efficace (quando da una serie di premesse si giunge ad una
conclusione); talvolta però, risulta più utile l’ordine cronologico (una serie ordinata
di fatti che portano ad una conclusione); l’ordine di soluzione-problema (si presenta
il problema e la conclusione sarà la soluzione più efficace al problema in questione).
Secondo: date enfasi alle parole chiave.
Ricorrete a metafore, similitudini per enfatizzarle.
Selezionate con cura le parole e le frasi, con la consapevolezza della loro connotazione emotiva.
Ricordate che non dovete solo comunicare informazioni, ma far vivere emozioni.
Infatti, in base alla scelta del vocabolario, l’enunciato può avere una connotazione
buona oppure cattiva, come nei due esempi che adesso vi propongo:
Alcuni stranieri sono illegali o privi di documenti?
Un candidato ha consulenti o gestori?
È evidente che la prima domanda, posta in quel modo, ha una connotazione positiva,
la seconda invece, negativa.
Terzo: curate la POSIZIONE delle parole.
Mettere una determinata parola o un concetto, all’inizio e anche alla fine di un discorso,
certamente garantisce una maggiore enfasi che non metterla al centro.
Ascoltate altri due esempi:
“Semplicemente non funzionano.
Questo è il fatto fondamentale sulle leggi del lavoro.
Diamo un’occhiata alla lista dei 17 stati che hanno approvato tali leggi.
In ogni caso vedremo che semplicemente non funzionano”.
“Esaminiamo i fatti in quegli stati in cui questo piano è stato approvato.
Troveremo che tale legislazione non funziona in modo efficace.
Nonostante gli Stati in questione siano 17”.
Tra i due discorsi il primo ha più enfasi, perché il concetto principale è stato posto all’inizio e alla fine.
Nel secondo, invece è stato collocato al centro perdendo efficacia.
Quarto: non abbiate paura delle ripetizioni: la ripetizione e la ridondanza sono spesso
disapprovate per iscritto, ma questo non vale per l’orale.
Considerate che gli ascoltatori non possono tornare indietro per rileggere qualcosa
che hanno perso la prima volta.
Dobbiamo compensare la disattenzione del nostro pubblico ribadendo i concetti.
Come sottolinea un celebre slogan “Di’ loro quello che intendi dire, ripetilo e diglielo ancora”.
Infine completiamo il nostro edificio con un bel tetto: l’assertion o un gancio iniziale.
Cosa sono: l’assertion è un breve titolo con cui aprire il discorso che anticipa
il contenuto della nostra argomentazione.
Invece il gancio è una citazione famosa o un dato significativo
che possa in qualche modo attirare l’attenzione.
Nella struttura l’assertion o il gancio servono ad avviare il discorso.
Ma perché vengono elaborati alla fine?
Perché ormai l’edificio è stato costruito e solo adesso saprete trovare un giusto gancio
e un’assertion efficace per il vostro discorso.
A questo punto il discorso è pronto per essere declamato, ma attenzione: si costruisce a
partire dalla fine ma va espresso nell’ordine giusto.
Quindi si parte da un gancio (se è presente); segue l’assertion; poi il discorso prosegue
con il ragionamento, gli esempi e si conclude con un linkback, ovvero la conclusione, che
vedrete sarà coerente e saprà ben collegare tutta la struttura.
In questa lezione, quindi, abbiamo analizzato le 3 parti di cui si compone un discorso e
delle loro caratteristiche, ovvero: assertion chiara e concisa, ragionamento ed esempi,
curati nell’ordine delle idee, nell’enfasi e nella posizione di alcune parole e nella ripetizione dei
concetti; infine una conclusione che giustifichi e dia coerenza a tutto il discorso.
ELEMENTI DI PUBLIC SPEAKING
Nella comunicazione di un dibattito argomentativo non esiste solo uno speaker che parla, ma anche un destinatario che ascolta. Non si tratta solo della squadra avversaria, ma parliamo dei giudici della gara, perché sono loro che valutano. In questa lezione quindi parleremo della capacità di parlare in pubblico e al termine dovrai essere in grado di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti del Public Speaking. Public speaking vuol dire parlare in pubblico. Perciò siamo di fronte ad una disciplina che fornisce tutta una serie di strumenti e strategie per esporre i concetti nella maniera più chiara possibile. Di sicuro il debate non è un’esercitazione di public speaking, ma si serve di alcuni elementi del public speaking perché nel debate non si parla in pubblico, ma al pubblico, che vi ricordo, è la giuria. Può sembrare banale, ma sapere questa informazione ci dà un grande vantaggio e una linea guida da seguire per impostare al meglio i discorsi e attivare quelle strategie utili a catturare l’attenzione della giuria.
Prima regola: uno speaker vincente deve essere ben preparato. Non potete sperare di improvvisare, soprattutto se siete alle prime armi, poiché il risultato potrebbe essere davvero catastrofico. Se volete sentirvi sicuri di voi stessi dovete prepararvi accuratamente. Seconda regola: prepara bene l’inizio e la fine, perché quelle sono le parti di un discorso che il pubblico ricorda di più. Anche perché, essere preparati sul proprio argomento (il COSA) consente di concentrarsi meglio sulle modalità di esposizione, cioè il COME. Terza regola: devi dimostrare a chi ti è davanti che non solo padroneggi quello di cui parli, ma che ci credi in maniera profonda ed entusiasta. Il pubblico ne rimarrà contagiato e tu riuscirai a creare un’opinione positiva. Già solo mettendo in pratica questi tre consigli potrai essere un oratore molto più efficace. Ma dedichiamoci adesso a cose più “tecniche”, come catturare l’attenzione, enfatizzare parti del discorso e gestire il nostro corpo. Uno: non leggere per intero il discorso, né tanto meno imparalo come fosse una poesia: si perde spontaneità e si rischia di avere vuoti di memoria. Guardare il foglio per ricordarsi una frase, una statistica o un passaggio del proprio intervento è ammesso, ciò che penalizza l’oratore è quando la sua attenzione è rivolta al foglio, piuttosto che al dibattito in corso. Due: organizza invece uno schema logico del discorso, che enfatizzi soprattutto le parole chiave, e prosegui spontaneamente. Se conosci bene l’argomento, non sarà difficile. Tre: parla ad una velocità tra le 120 e le 150 parole al minuto: più o meno quello che sto facendo io, per intenderci. Quattro, l’apertura di ogni discorso è fondamentale: in quei primi minuti si decidono le sorti dell’intero discorso, quindi comincia con una pausa di pochi secondi, guarda la giuria, assicurati la loro attenzione, sorridi e parti. Ricorda, chi ascolta empatizza sempre con chi parla e non desidera il suo imbarazzo o il fallimento, quindi non avere timore dei giudici. Focalizziamo adesso l’attenzione sulla comunicazione paraverbale. Sapevi che il 60% della nostra comunicazione non è verbale? La posizione del corpo, la postura, le espressioni facciali, i gesti delle mani, comunicano di più rispetto alle parole pronunciate. Nello specifico del debate, un bravo speaker dovrebbe prestare attenzione a 3 elementi principali del linguaggio non verbale: il volto, la voce e la gestualità.
Esaminiamoli uno per volta. Quando parliamo del volto, parliamo del contatto visivo degli occhi. Uno speaker che evita lo sguardo del pubblico dimostra di non avere fiducia in se stesso, quindi evita di avere lo sguardo basso o di saltare in giro con gli occhi mentre parli. Ma allora chi devi guardare? Il mio consiglio è quello di non guardare negli occhi la squadra avversaria, per due motivi: primo perché in questo modo eviti di entrare in conflitto con i tuoi avversari: ricorda che noi attacchiamo le idee, non le persone; secondo è la giuria che devi convincere. Per questo motivo, quindi, sarebbe opportuno rivolgersi a loro guardandoli negli occhi. Parliamo della voce. La voce ha delle variabili che sono: velocità, volume e suono. Mentre si parla è molto utile differenziare il ritmo delle parole, utilizzando pause strategiche per attirare l’attenzione su quelle più importanti. Oltre al ritmo non dimenticare l’intonazione. Si potrebbe utilizzare un volume della voce più basso quando dobbiamo esprimere qualcosa di importante e serio, mentre un volume più alto può essere utilizzato per enfatizzare un trasporto emotivo. Infine riflettiamo sui gesti: anche la gestualità è importante e funzionale alla comunicazione. Giocare con una penna, accartocciare un foglio, camminare avanti e indietro o dondolarsi troppo mentre si parla, dimostrano al pubblico lo stato di tensione in cui ci troviamo. Se non hai fogli, penne o altro che impegni le tue mani, allora potrebbe essere utile immaginarle all’interno di una scatola, all’altezza della vita; in questo modo puoi sottolineare con movimenti fluidi e non meccanici, quanto viene detto con la voce, sicuro di evitare gesti molto plateali, perché le tue mani le immaginerai al sicuro, all’interno della scatola. In questa lezione, quindi abbiamo parlato di alcuni elementi tipici del public speaking utili e funzionali al debate che sono il volto, la voce e la gestualità, ma soprattutto non dimenticare che se vuoi essere efficace nella comunicazione è necessario prepararsi al meglio.
I PARAMETRI DELLA VALUTAZIONE: STRATEGIA, CONTENUTO, STILE
L’obiettivo è comprendere non solo come si valuta un dibattito ma anche la funzione pedagogica della valutazione. Al termine, sarai in grado di riconoscere quali sono i criteri fondamentali per valutare un dibattito. La valutazione di un dibattito, nel World School Debate, prende in considerazione tre parametri ben precisi: il contenuto, lo stile e la strategia. Questo vuol dire che ogni discorso, per ciascuno speaker, viene valutato secondo questi tre parametri. Va precisato, però, che il peso dato a ciascun parametro valutativo non è identico: infatti, se al contenuto e allo stile viene attribuito identico peso, non si può dire lo stesso per la strategia che vale esattamente la metà.
Focalizziamo l’attenzione sul significato di questi tre parametri, cominciando dal contenuto: quando valutiamo un contenuto dobbiamo considerare la qualità e la quantità delle informazioni, dei ragionamenti e delle prove presentate durante i discorsi. Domande esemplificative, per guidare la valutazione possono essere: i ragionamenti sono dimostrati o dati per scontato? Le fonti citate sono autorevoli? Sono stati introdotti dati o informazioni senza riferimento alle fonti? Le prove a sostegno della tesi, sono sufficienti? La costruzione del ragionamento è pertinente? In sintesi va considerata l’accettabilità delle fonti e delle informazioni; la sufficienza delle prove; la rilevanza dei dati e delle affermazioni. Non dimenticare che la confutazione è parte integrante del contenuto e quindi va valutata secondo questo parametro. Quindi domande esemplificative possono essere: sono stati confutati i contenuti della squadra avversaria? Le confutazioni si riferiscono ad argomenti forti o ad argomenti deboli? La confutazione usa solo un esempio o c’è una costruzione logica a supporto? In sintesi la confutazione va misurata per quanto in profondità riesce a minare o a mettere in crisi la tesi della controparte.
Passiamo ora ad esaminare il secondo parametro: lo stile, che ti ricordo ha lo stesso peso del contenuto e andrebbe valutato con la stessa attenzione. Cosa si deve intendere per stile? Lo stile è tutto quello che attiene all’aspetto NON verbale della comunicazione, quindi il linguaggio del corpo, il contatto visivo, la capacità di mantenere l’attenzione, la modulazione della voce e l’uso di pause strategiche. Gli elementi che ho appena elencato possono essere anche oggetto di domande guida: la postura è stabile o compromette l’attenzione al messaggio? La gestualità è funzionale a rappresentare il contenuto esposto? La voce, le pause, sottolineano passaggi chiave del discorso? E così via… In sintesi nello stile si valuta l’aspetto paraverbale, nello specifico la sua funzionalità volta a chiarire il messaggio esposto e la coerenza con il testo. Arriviamo così al terzo parametro, la strategia, che ti ricordo vale esattamente la metà del punteggio attribuito al contenuto e allo stile. La strategia è strettamente legata al protocollo del dibattito, infatti si rilevano la corrispondenza degli interventi con le regole che strutturano il dibattito. Nello specifico si valuta la gestione e il rispetto dei tempi massimi che sono concessi agli interventi; la correttezza nello svolgimento dei ruoli, la gestione delle domande, cioè se sono brevi e fatte nei tempi consentiti. La valutazione della strategia considera anche l’ordine degli argomenti presentati. Da regolamento bisognerebbe presentare subito le argomentazioni più forti per consentire la realizzazione di un dibattito aperto e costruttivo. In sintesi nella strategia si valuta il rispetto delle tempistiche, il rispetto della struttura dell’intervento, la coerenza e la pertinenza tra i diversi interventi.
A questo punto avrai sicuramente capito che valutare un dibattito è complesso e non è possibile farlo solo attraverso l’ascolto, ma bisogna necessariamente prendere nota dello svolgimento del dibattito. La durata complessiva di un dibattito sfiora i 50 minuti, durante i quali vengono fornite una quantità di informazioni difficilmente gestibili senza una loro registrazione. Per questo motivo, scrivere, anche in forma abbreviata, quanto viene detto, permette di avere dei riferimenti precisi, in merito a prove, esempi, ragionamenti e citazioni su cui riflettere a conclusione dell’intero dibattito. Senza prendere nota dei discorsi sarebbe molto difficile stabilire quali argomenti hanno assorbito maggiormente il dibattito, quali argomenti sono stati invece trascurati dall’una o dall’altra squadra e se gli interventi sono stati tutti coerenti tra di loro. Inoltre ricordate di assegnare subito il punteggio a ciascun oratore al termine di ogni discorso. A conclusione dell’intero dibattito, il giudice si ritroverà una trascrizione completa del suo svolgimento, compresi i punteggi, in modo da poter ripercorrere i vari interventi ponendosi domande più puntuali che lo aiuteranno così a determinare il vincitore. Chiudiamo ripercorrendo le tappe più significative della valutazione. Di ciascun oratore bisogna considerare il contenuto dei discorsi, lo stile utilizzato e la strategia organizzativa. Considerando che i parametri sono complessi e le informazioni da ricordare numerose, per fare una buona valutazione, il dibattito deve essere prima trascritto su un foglio con i relativi punteggi e poi ripercorso, una volta concluso, per ulteriori riflessioni e considerazioni.
IL GIUDICE DI GARA
Un attore importante del debate, sebbene defilato, è il giudice. Il suo è un ruolo poliedrico e significativo perché serve a moderare e valutare l’intero dibattito, trasformandolo in un’esperienza altamente educativa e formativa. Egli è:
Un moderatore
Il giudice, in primo luogo, è un moderatore del dibattito perché gestisce gli interventi, li cronometra e segnala ai debater quanto tempo è rimasto a loro disposizione. Mentre svolge questa azione, il giudice deve inoltre essere in grado di annotare quanto le squadre espongono, trascrivendone sinteticamente gli interventi e mettendo in relazione le parti dei diversi discorsi che sono tra loro collegate. Questo complesso lavoro di annotazione servirà sia per confrontare le performance delle due squadre e determinare un vincitore, sia per formulare dei suggerimenti in modo da favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle abilità dei dibattenti. Per prendere appunti, il giudice si avvale di un foglio suddiviso in tante colonne quanti sono gli interventi che il dibattito prevede. In ciascuna colonna riporterà sinteticamente i discorsi dei diversi oratori inserendo, sul fondo di ciascuna di esse, il punteggio provvisorio assegnato. Al tempo stesso, già durante il dibattito, il giudice inserirà simboli, frecce di collegamento tra gli interventi delle varie parti e ulteriori annotazioni (ad esempio per indicare che un dato passaggio è stato effettuato correttamente, o per indicare che due parti di uno stesso discorso sono tra loro contraddittorie) da rivedere a dibattito terminato. Dall’analisi ponderata degli appunti dovrà ricavare il verdetto, ossia la decisione di quale squadra risulti vincitrice e i suggerimenti da proporre ai debater per migliorare la loro capacità dialettica.
Un decisore
Il giudice è anche un decisore, perché deve determinare quale squadra ha sostenuto meglio la propria tesi. Per fare ciò, deve innanzitutto saper tornare sui propri appunti, sia durante il dibattito che al suo termine, per analizzare l’incontro secondo i criteri prescelti. Gli sarà d’aiuto chiedersi, ad esempio, se i dibattenti hanno rispettato i vari obblighi a cui i loro discorsi sono soggetti, oppure individuare i passaggi della sua trascrizione che risultano confusi così da suggerire in quale punto il dibattito non ha seguito un andamento lineare. Può chiedersi ancora quali argomenti sono stati dibattuti più a lungo e quali invece no. Quest’ultimo aspetto è importante nella valutazione del dibattito, perché favorisce un’analisi dei contenuti organica, anziché parcellizzata, possibile solo a dibattito terminato. Individuare quali sono gli argomenti che durante il dibattito non vengono ripresi può condurre a capire se tali argomenti fossero marginali o irrilevanti, e se quindi potessero essere trascurati fin dall’inizio, oppure insidiosi a tal punto da non essere contestati successivamente alla loro presentazione. Individuare invece gli argomenti dibattuti più a lungo permette di riflettere sulla loro rilevanza per il dibattito, e sul grado di analisi del tema da parte delle due squadre.
Criteri di valutazione
Per valutare un dibattito non esiste un insieme di criteri universalmente adottato e questi, quindi, devono essere selezionati avendo come obiettivo una formazione oratoria bilanciata. Criteri esclusivamente legati alla dimensione non verbale trascureranno di formare debater capaci di analizzare i problemi trattati, mentre escludere la dimensione non verbale condurrà a formare dibattenti poco vicini alle esigenze di comprensione del pubblico. È importante inoltre che i criteri scelti per valutare un dibattito siano noti ai dibattenti in modo da permettere loro di autovalutarsi e di prepararsi conformemente, e siano commisurati alle capacità che gli studenti possono o desiderano esprimere. Valutare un dibattito rivolto agli studenti delle primarie sulla base di un criterio quale la capacità di “formulare ragionamenti logico-formali” è poco consono quanto valutare un dibattito tra studenti universitari in base alla capacità di “rappresentare con disegni le idee alla base della posizione sostenuta”. La valutazione del dibattito avviene attraverso diversi criteri che possono variare al variare del formato di dibattito adottato, del grado di istruzione a cui il dibattito è rivolto e degli obiettivi formativi ed educativi che il docente o l’organizzazione proponente si prefigge.
Alcuni esempi
Il World Schools Debate, formato di dibattito diffuso a livello internazionale e rivolto principalmente agli studenti delle secondarie di secondo grado, prevede la valutazione:
• sul contenuto: accettabilità di fonti e informazioni, sufficienza e rilevanza di prove, dati o ragioni;
• sullo stile: chiarezza d’esposizione e coerenza tra dimensione testuale, paraverbale e non verbale;
• sulla strategia: rispetto delle tempistiche, rispetto della struttura dell’intervento, pertinenza tra gli obblighi e il tempo loro dedicato, coerenza strutturale tra i diversi interventi.
Un altro insieme di criteri attraverso i quali si può valutare un dibattito, questa volta pensati per le scuole primarie ma non meno articolati di quelli per le secondarie, comprende:
• organizzazione e chiarezza;
• rilevanza degli argomenti;
• uso di fatti;
• uso di obiezioni;
• persuasività.
Una ponderata e attenta analisi dei discorsi con criteri di valutazione trasparenti e applicati coerentemente non potrà che condurre i dibattenti a sviluppare senso critico e autocritico e favorire in loro la metacognizione, ossia quell’attività cognitiva che ha come oggetto i propri processi di elaborazione della conoscenza.
Paradigmi di valutazione
La valutazione è anche soggetta a quelli che in termini tecnici sono denominati “paradigmi” di valutazione. Il “paradigma” è il modo di guardare al dibattito e rispecchia semplicemente la concezione che ciascuna persona ha della funzione e delle finalità dell’attività dibattimentale stessa.
Tra i più diffusi paradigmi troviamo:
• il paradigma orientato alle abilità (Skills judge paradigm): il giudice valuta il dibattito concentrandosi sulle abilità dei dibattenti anziché su alcuni specifici aspetti del dibattito. Un problema di questa prospettiva è di guardare troppo al singolo intervento, rispetto alla globalità del dibattito;
• il paradigma della tabula rasa (Tabula rasa approach): il giudice osserva il dibattito senza nessun preconcetto o criterio di valutazione precostituito e lascia che questi emergano dalle squadre che dibattono;
• il paradigma della prova d’ipotesi (Hypothesis testing paradigm): il giudice esamina il dibattito chiedendosi se la squadra pro, o di governo, abbia presentato prove sufficienti a sostegno della propria tesi e nel contempo abbia saputo difendersi dai tentativi di falsificazione della controparte;
• il paradigma dei problemi comuni (Stock issues paradigm): il giudice valuta il dibattito sulla base di alcuni requisiti necessari che la posizione pro deve rispettare, come la capacità di mostrare che c’è un problema urgente per cui serve un nuovo intervento; che il presente sistema non è in grado di risolvere tale problema; che la soluzione proposta dalla propria squadra è in grado di risolvere il problema; che tale piano d’azione non produce serie conseguenze negative.
Un formatore
Infine, il giudice è un formatore perché al termine del dibattito fornisce ai debater suggerimenti orientati a migliorarne le capacità d’argomentare e comunicare. In questo senso, la valutazione che effettua non è, in termini tecnici, sommativa, ossia non ha l’obiettivo di rilevare il livello di competenze e conoscenze alla fine di uno specifico percorso, ma formativa, ossia ha l’obiettivo di valutare ciò che avviene in itinere per capire cosa sia stato appreso, e cosa migliorare, ma anche per adeguare l’attività didattica. Un buon discorso di restituzione, per essere tale, deve partire da quanto concretamente accaduto durante il dibattito. Il giudice deve esemplificare e giustificare i propri consigli a partire da quelle situazioni e da quei passaggi del dibattito che gli hanno fatto comprendere l’esigenza di maggior esercizio. Deve inoltre presentare la propria lettura del dibattito come una possibile interpretazione dell’incontro, e non come una descrizione certa e assoluta del dibattito. A volte può anche chiedere ai debater di confermare che la sua interpretazione di un argomento o di un particolare passaggio sia corretta prima di dare un consiglio che altrimenti sarebbe poco pertinente. Infine, deve capire quali sono i suggerimenti più idonei da esporre, partendo dall’effettivo grado di preparazione del debater al quale si rivolge e visto il tempo limitato a sua disposizione. Alcuni suggerimenti schematici che il giudice può tenere a mente per elaborare il proprio discorso sono forniti dal seguente adattamento schematico della rassegna operata da Shute (2008).
La restituzione deve
• non riguardare il debater ma il compito da lui svolto;
• essere specifica, non generica, e comprensibile;
• aiutare il dibattente a focalizzarsi sull’apprendimento prima che sulla prestazione;
• evitare il confronto con altri debater.
Concludendo, un giudice deve essere in grado di motivare ai debater la propria decisione sulla base dei criteri di valutazione adottati e del paradigma di riferimento. Solo in questo modo si può instaurare un vero rapporto educativo capace di condurre gli studenti a riflettere, anche autonomamente, sulla loro preparazione.
Tratto da – M. De Conti – M. Giangrande, Debate. Pratica, teoria e pedagogia, Pearson Italia, Milano 2017.
LA FUNZIONE E DISCORSO DI RESTITUZIONE
La scheda di valutazione è un documento ufficiale e pubblico che fa parte degli atti del torneo. Questo vuol dire che, su richiesta, sarà visionabile dalle squadre e pertanto deve essere redatta in modo chiaro e corretto. Sicuramente la scheda è già impostata per essere autoesplicativa, tuttavia si ribadisce l’importanza della restituzione al termine della gara. Per restituzione s’intende il commento finale che il giudice elabora, prima di decretare il vincitore. Questo è l’aspetto pedagogicamente più rilevante. Attraverso il commento, infatti, si aiutano le squadre a comprendere quali aspetti del loro lavoro debbano essere rafforzati e a indicare i motivi per cui è stata assegnata la vittoria ad una piuttosto che all’altra squadra. Questo commento avrà un grande valore per ciascun debater, poiché trarranno consigli utili per migliorare il proprio operato. Ma come si elabora un commento?
In fase di valutazione, una volta terminato il conteggio dei punti e decretata la squadra vincitrice, è importante che i giudici scambino tra loro le opinioni e le analisi svolte sul dibattito. Questa interazione non è finalizzata a convincere gli altri componenti della giuria del proprio voto o a modificare il proprio verdetto, anche perché la scheda di valutazione dovrebbe essere stata già compilata, ma ha la funzione di raccogliere le analisi e i consigli da restituire alle squadre. Fornire suggerimenti ai debater, affinché possano migliorare la loro attività comunicativa e argomentativa è un compito tanto importante quanto delicato. Infatti, la restituzione è delicata, perché il giudice non solo deve possedere capacità tecniche idonee a valutare i dibattiti in modo rigoroso e imparziale, ma deve anche essere dotato di sensibilità pedagogica per comprendere che giudizi poco ponderati, così come giudizi molto critici, condurranno i debater a resistenze nell’apprendimento e a una demotivazione verso l’attività di dibattito poiché l’impegno da loro profuso negli incontri non viene correttamente riconosciuto. In estrema sintesi esortare o dissuadere, consigliare, suggerire o sconsigliare, sono le funzioni proprie del discorso di restituzione di un giudice. Vediamo adesso come strutturare la restituzione. È buona norma aprire il discorso di restituzione complimentandosi con le squadre per il lavoro svolto. È difficile che una squadra si sieda al tavolo senza un’adeguata preparazione, quindi è bene cominciare il discorso riconoscendo l’impegno profuso dalle due squadre. Poi, il giudice designato ad esporre il giudizio, e che rappresenterà l’intera commissione giudicatrice, dovrà esplicitare il motivo generale per cui la giuria ha assegnato il verdetto. Attenzione, ho detto il motivo generale, non la squadra vincitrice. È un particolare molto importante non decretare subito la squadra vincitrice, perché nel momento in cui entrambe le squadre conosceranno a chi è stata attribuita la vittoria, non saranno più motivate ed interessate ad ascoltare il commento nella sua interezza. Quindi dopo aver esplicitato i motivi generali, si passa ai consigli, per ciascuna squadra per fare in modo che affrontino i successivi incontri con una migliore preparazione. Tali consigli, affinché non siano generici ma esplicativi, dovranno essere corredati dei passaggi del dibattito che ne esemplificano e ne giustificano l’utilità, garantendo così una maggior comprensione da parte dei debater. Infine chiudete sempre con una nota positiva: in ogni gara c’è sempre una squadra che si distingue per la ricchezza degli esempi proposti, per una costruzione efficace delle argomentazioni o per delle confutazioni puntuali. Il riconoscimento dei progressi compiuti è senz’altro motivante per andare avanti con maggior entusiasmo. E solo a questo punto si potrà decretare tranquillamente la squadra vincitrice.
Primo: stabilisce i criteri generali che hanno portato alla vittoria. Secondo: non deve riguardare la persona, ma il compito da lui svolto. Terzo: per una maggior comprensione, la restituzione deve essere specifica, con riferimenti al dibattito svolto e non generica. Quarto: deve aiutare la squadra a focalizzarsi sugli aspetti da migliorare. Quinto: deve motivare i singoli debater aiutandoli a riconoscere i propri progressi.
- LA TRASCRIZIONE DEL DIBATTITO
Vademecum per la trascrizione informale del dibattito
I giudici sono tenuti a prendere nota di quanto gli speaker affermano nel dibattito in modo da:
• avere un’analisi contenutistica e argomentativa più completa;
• ripensare e rivedere gli scambi argomentativi;
• evitare fraintendimenti e/o distorsione del significato di quanto detto dagli speaker;
• semplificare il momento del feedback.
Come organizzarsi?
• generalmente si utilizza un foglio A3, suddiviso in 6 colonne;
• i discorsi di replica potranno essere trascritti sul retro del foglio usando la stessa modalità;
• ricorda di registrare subito il punteggio per ciascuno speaker, immediatamente dopo la conclusione del discorso.
Si possono usare:
• abbreviazioni: DEF, ARG, EX… o altri simboli chiari
• frecce per collegare argomenti e confutazione
• spazi vuoti
• punteggiatura come “!!!, ???”
A questo link puoi scaricare un esempio di formati che possono essere utilizzati per tracciare il dibattito.
IL RUOLO DEL COACH NEL GRUPPO DI DIBATTITO
Il coach è un insegnante/formatore? Che cosa insegna e con quali modalità? Ricordiamo che fare dibattito significa creare un ambiente di apprendimento “autentico” e “situato”: per prima cosa il coach deve dunque esserne consapevole e possedere gli strumenti di base per saperlo gestire. Il secondo aspetto fondamentale da sottolineare è l’obiettivo finale del processo di insegnamento/apprendimento: il pensiero critico. Pertanto il coach dovrà progettare un percorso che utilizzi sistematicamente l’esercizio e la pratica dibattimentale in diverse forme e modi per rafforzare la capacità argomentativa e logica degli studenti. Il coach dunque non può trasferire solo nozioni ma deve interagire continuamente, collaborare e cooperare con gli studenti durante le fasi del processo, stimolare, sollecitare, orientare e guidare gli stessi nel loro autoapprendimento. Egli dunque deve rivestire i panni di docente, moderatore, consulente, mentore, giudice. Non è un caso dunque che si parli di coaching, al di là delle origini anglosassoni del debate: l’allenatore infatti è il professionista che sviluppa le potenzialità di un soggetto, una squadra per conseguire uno scopo. La visione che lo accompagna deve essere multifunzionale, autorevole, motivazionale e prospettica. Infine è necessario segnalare che il ruolo del coach sarà diverso nel caso di attività in un club di debate extracurricolare o nell’attività d’aula, così come diversi saranno gli approcci rispetto alle competenze dei debaters e all’ordine di scuola a cui appartengono.
Nel Debate Club, il coach dovrà occuparsi anche del reclutamento dei partecipanti, mostrando capacità di leadership, motivare all’efficacia formativa del debate, offrire occasioni stimolanti agli incontri periodici, favorire l’aspetto competitivo senza rinunciare al divertimento di dibattere. Infine dovrà anche seguire aspetti organizzativi relativi alla partecipazione ai tornei. Avrà molti strumenti ma il suo ruolo, nella scuola italiana, è anche molto sfidante. Nel Classroom Debate, prevale invece la competenza disciplinare, poiché comunque si deve operare all’interno di un curriculum. Il docente-coach sarà già padrone della situazione in aula, ma dovrà trovare strategie per motivare gli studenti a un atteggiamento attivo, al di fuori degli schemi tradizionali, ribaltando un approccio disciplinare trasmissivo e, cosa non sempre facile, cercare eventuali collaborazioni interdisciplinari. Dovrà lavorare anche molto su se stesso per ritagliarsi un ruolo significativo di guida poiché dovrà affrontare i “suoi” contenuti attraverso il metodo della ricerca e della strutturazione dell’argomentazione, in un continuo gioco di feedback con gli studenti. Non preoccuparti, comunque: coach si diventa, strada facendo, insieme al gruppo di dibattito proprio perché si vive intensamente una collaborazione formativa in un contesto aperto e dinamico. Il confronto con altri docenti che praticano dibattito e la partecipazione a tornei, rafforzerà via via la padronanza di tutte queste strategie. In questa lezione abbiamo dunque delineato la figura di un formatore attento ai processi cognitivi con una posizione “a latere” dalla quale accompagna gli studenti, veri protagonisti del dibattito.
IL DIBATTITO COME ATTIVITÀ CURRICOLARE ED EXTRACURRICOLARE
L’esperienza recente del dibattito in Italia è iniziata soprattutto come attività extracurricolare, integrativa dell’offerta formativa degli istituti, di solito praticata in forma di laboratorio pomeridiano. Questo approccio privilegia l’idea, più facilmente attuabile, del debate come attività trasversale, collocabile soprattutto nei percorsi di Cittadinanza. Da un punto di vista organizzativo, il laboratorio di Dibattito è un’attività progettuale senza soluzione di continuità con altre attività simili, pur rappresentando un’idea innovativa di processo di insegnamento/apprendimento. Dal punto di vista più strettamente valoriale, esso offre un percorso di formazione più completo rispetto alla programmazione di elementi teorici, tecnica comunicativa e argomentativa, esercitazioni pratiche e occasioni di tornei, anche interscolastici.
Per una efficace realizzazione del laboratorio, è necessario che vi sia un programma chiaro, ben pubblicizzato e motivante e un’attenta progettazione di spazi e tempi dedicati all’interno del calendario scolastico. Inoltre deve essere stimolante e attrattivo per contare su una frequenza costante, inclusivo e di rinforzo positivo. Gli studenti, avendo aderito in modo consapevole, saranno curiosi, facilmente “coinvolti emotivamente” e disponibili ad assumere i diversi ruoli previsti dalle attività. Il coach dovrà esercitare una forte leadership, valorizzando un gruppo così costituito e disseminando l’esperienza nella comunità scolastica. La modalità del Classroom Debate privilegia il dibattito come metodologia: scegliere questa modalità significa sposare l’idea che sia necessario creare nuovi ambienti di apprendimento, ribaltare il setting d’aula e superare alcune rigidità strutturali del sistema scolastico italiano, pur entro i vincoli ordinamentali. Ciò significa, per esempio, che discipline come storia, economia o filosofia ma anche inglese possano essere apprese (non solo insegnate) attraverso la costruzione di moduli disciplinari (o interdisciplinari) che prevedano la discussione dibattimentale, dopo aver svolto specifiche attività in classe. Questa modalità didattica richiede una gestione diversa rispetto al Debate Club: è focalizzata sul processo e rivolta a tutta la classe con modalità di apprendimento cooperativo. Il dibattito finale potrà avere anche forme meno standardizzate e prevedere, in base alle esigenze, tempi più brevi; inoltre i feedback finali rivestiranno una forte valenza formativa. Dati i vincoli di tempo, diventerà strategico progettare, per la classe, un curriculum di competenze per nuclei fondanti che superi la frammentarietà delle discipline: più docenti dovrebbero dunque collaborare insieme. In questa lezione abbiamo illustrato due modalità di realizzazione del Dibattito nel sistema educativo: entrambi validi, presentano obiettivi specifici e una progettazione diversa, ma certamente contribuiscono efficacemente a un processo
ORGANIZZARE UN TORNEO DI DIBATTITO A SCUOLA
Immagina che nella tua scuola vi siano più gruppi di studenti o classi che fanno attività di dibattito e docenti che vi si dedicano con entusiasmo. A un certo punto, tutte queste energie potranno essere efficacemente valorizzate con un evento: un dibattito pubblico tra le squadre. I tornei di dibattito sono, senza ombra di dubbio, eventi entusiasmanti perché si vive in un contesto dinamico, incontrando persone con esperienze diverse e stili di dibattito differenti dai tuoi; inoltre puoi essere coinvolto in ruoli diversi, magari come giudice o semplicemente come osservatore. Questa carica che “si sente davvero” è essa stessa molto formativa per tutti i partecipanti. Anche i tornei interni alle scuole che praticano dibattito sono molto utili per fornire agli studenti questo tipo di esperienze e favorire la partecipazione poi a tornei interscolastici nazionali o internazionali. Nel primo caso i tuoi obiettivi saranno funzionali al rinforzo dell’attività didattica specifica e alla condivisione interna, nel secondo caso starai ricercando soprattutto la forza dell’impatto emotivo e formativo.
Organizzare un dibattito non è semplice e richiede scelte determinate su format, partecipanti, regole di funzionamento, tipologia di mozioni, valutazione e giudici. L’apparato organizzativo richiede la partecipazione di numerose persone, coinvolgendo anche gli studenti più esperti. Dopo l’analisi dello specifico contesto di partenza, è necessario prioritariamente decidere la natura dell’evento: aperto al pubblico, rivolto agli alunni e docenti interni, torneo interno o interscolastico. In ogni caso andranno rese note, con largo anticipo, regolamento e modalità. Nel caso di più squadre, sarà necessario stabilire i gironi per le fasi eliminatorie: di solito si preferisce far dibattere le squadre rivestendo sia la posizione PRO che la posizione CONTRO; in questo modo il numero di mozioni da dibattere è ridotto. Per quanto riguarda queste ultime, ti suggeriamo di prevederne alcune “preparate” e alcune “impromptu” in modo da non appesantire la preparazione al torneo. Infine per la fase di valutazione, ti suggeriamo di selezionare i giudici tra coach, docenti o studenti debaters esperti che rappresentano risorse preziose. Il tuo torneo di dibattito, se interno, può essere organizzato anche in tempi diversi, prevedendo un dibattito a cadenza periodica e la fase finale alla fine dell’anno scolastico. Nel caso di torneo interscolastico invece, risulta più efficace concentrare il calendario in due/tre giornate: in questo caso dovrai occuparti anche degli aspetti logistici delle squadre (viaggio, accoglienza ed eventuale pernottamento). A questo punto, hai tutto pronto: che il torneo abbia inizio. Buon dibattito a tutti!